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Patto di non concorrenza: valido il pagamento in costanza di rapporto se il compenso è determinato e congruo

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Il patto di non concorrenza è uno strumento contrattuale sempre più utilizzato nei rapporti di lavoro subordinato, specie nei settori ad alto contenuto professionale come il private banking. Si tratta, come noto, di un accordo con cui il lavoratore si impegna, dopo la cessazione del rapporto, a non svolgere attività in concorrenza con l’ex datore di lavoro. Affinché tale patto sia valido, la legge impone che vi sia un corrispettivo, proporzionato e determinato o quantomeno determinabile. Ma è lecito pagarlo anche durante il rapporto di lavoro? La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito diversi aspetti cruciali al riguardo.

Le ordinanze n. 9256 e 9258/2025: due casi analoghi

Le ordinanze n. 9256 e 9258 dell’8 aprile 2025 – entrambe emanate dalla Sezione Lavoro Civile della Corte di Cassazione – affrontano due casi analoghi relativi a ex dipendenti della stessa banca, che avevano sottoscritto un patto di non concorrenza con pagamento dilazionato in costanza di rapporto. Al momento del recesso, la banca ha contestato la violazione del patto e ha richiesto il risarcimento, ma i lavoratori hanno eccepito la nullità della clausola, ritenendo inadeguato il corrispettivo.

Nel primo caso (ordinanza 9256), la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto nullo il patto di non concorrenza perché il compenso – pari a 10.000 euro annui per tre anni – risultava determinato solo in relazione alla durata effettiva del rapporto, rendendolo così indeterminabile in caso di cessazione anticipata. Inoltre, la clausola prevedeva che in caso di cambio mansioni, l’obbligo del lavoratore rimanesse in essere, mentre quello del datore di lavoro a corrispondere il compenso veniva meno, configurando uno squilibrio ingiustificato.

La Cassazione riconosce l’autonomia del patto e il criterio ex ante

La Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso della banca, sottolineando un principio fondamentale: il patto di non concorrenza è un contratto autonomo e va valutato secondo criteri propri. Il corrispettivo non è parte della retribuzione, ma una controprestazione per l’obbligo di non facere assunto dal lavoratore dopo la cessazione del rapporto. Per questo, il pagamento può legittimamente avvenire anche in costanza di rapporto, a condizione che sia determinato o determinabile sin dall’origine e congruo rispetto all’impegno richiesto .

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Il secondo caso: ordinanza 9258 e l’equivoco tra forma e sostanza

Analogamente, l’ordinanza 9258 si pronuncia su un patto di non concorrenza della durata di venti mesi con un corrispettivo di 12.000 euro annui, anch’esso pagato durante il rapporto. Anche in questo caso, la Corte di Appello di Milano aveva dichiarato la nullità della clausola, rilevando che il compenso dipendeva dalla durata effettiva del contratto di lavoro e che non era previsto un minimo garantito. Inoltre, il patto conteneva una clausola che prevedeva la cessazione del pagamento in caso di cambio mansioni, pur mantenendo l’obbligo a carico del lavoratore.

La Cassazione impone una doppia verifica

La Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, ribadendo che indeterminatezza e incongruità sono vizi distinti: la prima attiene alla forma del contratto (art. 1346 c.c.), la seconda alla sostanza del compenso rispetto al sacrificio richiesto (art. 2125 c.c.). Confondere i due aspetti – come fatto dalla Corte territoriale – preclude un’adeguata valutazione della validità del patto. I giudici del rinvio dovranno quindi valutare separatamente la determinabilità del corrispettivo e la sua adeguatezza, con riferimento alle clausole pattuite al momento della firma, senza lasciarsi influenzare da eventi successivi o dal fatto che il pagamento sia avvenuto durante il rapporto .

Nullità assoluta e clausola indivisibile

In entrambi i casi, la Cassazione ha respinto l’idea che un patto possa essere dichiarato nullo “in astratto”, in assenza di un’analisi dettagliata del contenuto contrattuale. Inoltre, ha escluso la possibilità di una “conservazione parziale” del patto, chiarendo che la nullità investe l’intera clausola.

Le due pronunce, lette insieme, hanno una portata molto significativa: confermano la piena legittimità del pagamento in costanza di rapporto, purché siano rispettati i requisiti sostanziali di determinatezza e congruità. Al tempo stesso, rafforzano il principio di autonomia del patto di non concorrenza e il diritto del lavoratore a ricevere un compenso reale, equo e proporzionato.

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