Physical Address
304 North Cardinal St.
Dorchester Center, MA 02124
Physical Address
304 North Cardinal St.
Dorchester Center, MA 02124
Con l’ordinanza n. 28927 dell’11 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine del diritto del lavoro: il licenziamento disciplinare senza preventiva contestazione degli addebiti è da considerarsi illegittimo, con conseguente reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, ma assume rilievo per la chiarezza con cui sancisce l’insussistenza stessa del procedimento in assenza di una contestazione formale.
Tutto parte da una controversia tra un lavoratore licenziato per giusta causa e il suo datore di lavoro. La Corte d’Appello di Napoli, in secondo grado, ha accolto il reclamo del dipendente, riformando la decisione del Tribunale e dichiarando illegittimo il licenziamento. In particolare, è stato accertato che il licenziamento era stato intimato senza alcuna contestazione preventiva dell’addebito, elemento imprescindibile nei procedimenti disciplinari.
Sulla base di ciò, i giudici hanno applicato la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori, ritenendo inapplicabile la tutela meramente indennitaria di cui al comma 6.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione, articolando la propria difesa su quattro principali motivi. In sintesi, si sosteneva che la mancanza di contestazione rientrasse tra i vizi procedurali sanabili e non giustificasse l’applicazione della reintegra. Secondo il ricorrente, in mancanza di una prova sull’insussistenza del fatto contestato, si sarebbe dovuto applicare il regime indennitario previsto per i vizi formali.
Inoltre, si denunciava una carenza di motivazione nella sentenza d’appello e si affermava che alcune questioni (come quella sull’esistenza del fatto) fossero passate in giudicato, non potendo più essere riesaminate.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, giudicando infondati tutti i motivi proposti. I giudici hanno confermato che la contestazione dell’addebito è un elemento costitutivo del procedimento disciplinare: senza di essa, l’intero procedimento è giuridicamente inesistente, non semplicemente viziato. Si tratta di un difetto sostanziale, non solo formale.
Questa posizione trova fondamento anche nei precedenti della stessa Corte (tra cui Cass. n. 25745/2016 e n. 4879/2020), che hanno stabilito che la mancanza totale della contestazione equivale a un difetto assoluto di giustificazione del licenziamento, giustificando pertanto la tutela reintegratoria piena.
Secondo la Cassazione, non è corretto ritenere che la mancanza della contestazione rientri tra i meri vizi procedurali sanzionabili con indennizzo, come previsto dall’art. 18, comma 6. In realtà, l’assenza della contestazione impedisce qualsiasi valutazione sull’esistenza del fatto contestato e sulla sua gravità. Non si tratta, quindi, di una mera irregolarità, ma di un difetto strutturale che compromette la legittimità del provvedimento stesso.
L’ordinanza chiarisce anche che il passaggio del comma 6, secondo cui il giudice può applicare le tutele più forti “se accerta un difetto di giustificazione”, non esclude la possibilità di riconoscere la reintegra quando manca del tutto la contestazione. Anzi, tale mancanza è già di per sé una prova dell’assenza di giustificazione del licenziamento.
Questa pronuncia rafforza un concetto centrale nel diritto del lavoro: il rispetto della procedura disciplinare non è un mero formalismo, ma una garanzia essenziale del diritto di difesa del lavoratore. La contestazione preventiva e scritta degli addebiti non è una facoltà, ma un obbligo. La sua omissione comporta la nullità dell’intero procedimento, con il rischio concreto, per il datore di lavoro, di dover reintegrare il dipendente e risarcirlo per il periodo di assenza ingiustificata.
Per le aziende, questo significa dover agire con estrema attenzione e rigore nel gestire qualsiasi procedura di licenziamento disciplinare. Per i lavoratori, invece, si conferma l’importanza di tutelare i propri diritti e di verificare la correttezza della procedura seguita in caso di licenziamento.
Con l’ordinanza n. 28927/2024, la Corte di Cassazione rafforza il principio di legalità e trasparenza nelle relazioni di lavoro, riaffermando che senza contestazione non c’è giusta causa. Il licenziamento privo di fondamento procedurale è da ritenersi illegittimo, e il lavoratore ha pieno diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Questa sentenza rappresenta un nuovo tassello nella costruzione di un equilibrio tra il potere dell’impresa e la tutela dei diritti fondamentali del lavoratore, rafforzando un sistema che, per essere giusto, deve prima di tutto essere corretto nelle sue forme.