Physical Address
304 North Cardinal St.
Dorchester Center, MA 02124
Physical Address
304 North Cardinal St.
Dorchester Center, MA 02124
L’ordinanza n. 29310 del 13 novembre 2024 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, rappresenta un’importante occasione per riflettere sulla configurazione della responsabilità in ipotesi di mobbing e sulle implicazioni giuridiche relative ai rapporti di lavoro nella Pubblica Amministrazione. La pronuncia nasce dal ricorso di un ex dipendente del Ministero della Giustizia contro una funzionaria, accusata di comportamenti vessatori. Ecco un’analisi dettagliata dei punti principali della decisione.
La Corte ribadisce che la responsabilità per mobbing può assumere diversa natura giuridica a seconda delle figure coinvolte. Nel caso specifico, il ricorrente sosteneva che i comportamenti della funzionaria configurassero una violazione dell’art. 2087 c.c., norma che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale dei dipendenti.
Tuttavia, la Cassazione ha escluso l’applicabilità dell’art. 2087 c.c. nei confronti della funzionaria, chiarendo che quest’ultima, non essendo titolare del rapporto di lavoro, non poteva essere considerata “datore di lavoro”. La responsabilità della funzionaria, dunque, ricade nell’ambito dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., applicabile quando il danno sia causato da dolo o colpa. Conseguentemente, la prescrizione segue il termine quinquennale previsto per gli illeciti extracontrattuali.
Un elemento cruciale della decisione riguarda il rapporto di immedesimazione organica tra il dipendente pubblico accusato di mobbing e l’Amministrazione. Il ricorrente ha cercato di dimostrare che la funzionaria, agendo in virtù del proprio ruolo dirigenziale, fosse da considerarsi come datore di lavoro, richiamando l’art. 2087 c.c.
La Corte ha respinto questa interpretazione, sottolineando due aspetti chiave:
Questo chiarimento rafforza l’orientamento secondo cui, nei casi di mobbing, è fondamentale distinguere tra responsabilità del datore di lavoro (contrattuale) e responsabilità di altri dipendenti (extracontrattuale). La confusione tra queste figure può portare all’inammissibilità delle azioni legali.
Un altro punto contestato dal ricorrente è il termine di prescrizione dell’illecito. Egli sosteneva che i comportamenti vessatori si fossero protratti anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro e che la prescrizione dovesse decorrere dalla comunicazione ufficiale del decreto di cessazione, avvenuta nel 2009.
La Corte ha rigettato questa tesi, stabilendo che il termine decorre dalla cessazione effettiva dell’attività lavorativa, accertata nel caso di specie al 16 settembre 2004. Le richieste di rivalutare i fatti sono state giudicate inammissibili, essendo già state esaminate nei gradi precedenti.
Un punto di discussione rilevante riguarda l’intervento dell’Avvocatura dello Stato per la difesa della funzionaria accusata. Il ricorrente ha contestato la legittimità della rappresentanza, sostenendo che l’Avvocatura non fosse autorizzata a intervenire in una controversia tra dipendenti.
La Cassazione ha chiarito che il ricorso all’Avvocatura dello Stato è regolato dall’art. 44 del R.D. n. 1611 del 1933. Tale norma prevede che l’Avvocatura possa rappresentare e difendere i dipendenti pubblici in cause civili o penali connesse al servizio, previa richiesta dell’amministrazione. La Corte ha precisato che:
La sentenza rafforza il principio che l’Avvocatura opera per salvaguardare l’interesse pubblico e che il suo intervento può essere contestato solo in casi di manifesta illegittimità.
L’ordinanza n. 29310/2024 della Cassazione rappresenta un importante punto di riferimento per chiarire la configurazione della responsabilità in ipotesi di mobbing nella Pubblica Amministrazione. Essa ribadisce che:
Questi principi offrono linee guida fondamentali sia per i dipendenti pubblici che intendano agire contro situazioni di mobbing, sia per gli operatori del diritto chiamati a gestire tali controversie.